Coronavirus: il senso del revenue management ai tempi della crisi

In questi giorni in cui si parla solo di una cosa, ci troviamo inevitabilmente a dover gestire le ansie e il panico degli albergatori italiani alle prese con gli effetti devastanti che questo virus (e la sua amplificazione mediatica) sta arrecando al turismo e all’economia del nostro amato paese, più che alla salute degli italiani.

E in questi giorni affiora anche la domanda negli addetti ai lavori su come si può contrastare questa crisi e se tutte le varie leve possibili, compreso il revenue management, possano ancora avere un’utilità e un senso.

Avendo avuto la possibilità di lavorare in 15 anni con oltre 2.000 strutture in 4 continenti del mondo, ci siamo spesso trovati ad affrontare improvvise crisi in determinati paesi a seguito di calamità naturali, attacchi terroristici, tensioni o altri fenomeni socio-politici che hanno davvero messo in ginocchio gli hotel e le strutture ricettive.

Questo ci ha consentito di avere uno storico su come le grosse crisi possano incidere su quello che è il cuore del nostro lavoro, il revenue management.

E su come spesso queste crisi presentino fenomeni analoghi tra loro.

Una domanda che ricorre spesso nel nostro settore è se davvero il revenue management può servire a qualcosa davanti a questi fenomeni di portata negativa gigantesca.

Detto in altri termini, quando ci si trova davanti a scenari quasi apocalittici, in cui saltano tutti gli schemi e arrivano valanghe di cancellazioni, gli hotel passano improvvisamente in alcuni casi da più del 90% di occupazione a meno del  10%, quando le prenotazioni si bloccano del tutto o rallentano clamorosamente, che cosa può fare il revenue management?

C’è chi sostiene che in questi casi il revenue management non serva a nulla, partendo dal presupposto che il revenue management sia solo pricing, e che quindi la leva prezzo sia inefficace per stimolare una domanda che è comunque inesistente.

Basta vedere i voli semivuoti Ryanair a 4,99 euro.

Posto che la crisi da Coronavirus si risolverà principalmente a livello sanitario, politico e mediatico, col revenue management non possiamo fare altro che studiare attentamente e quotidianamente la situazione, tenerci aggiornati, ipotizzare degli scenari e studiare delle misure per mitigare gli effetti economici nel breve, medio e lungo periodo.

Cosa può fare un revenue manager di fronte all’emergenza?

Innanzi tutto quando ci troviamo di fronte a queste crisi, dobbiamo analizzare quali sono i fattori che bloccano o distruggono la domanda.

In altri termini le limitazioni oggettive (es: limitazioni ai trasporti e ai voli, divieti e misure restrittive dei governi, quarantene, chiusure aziende, attività commerciali e luoghi di aggregazione, annullamento eventi ecc.) e quelle soggettive (paure psicologiche di subire danni per la propria salute e incolumità o disagi).

In funzione di quanto incidono le une e le altre, chiaramente ci si può fare un’idea di quanto si possa condizionare la domanda e con quali segmenti, canali e attività, quali scenari si possono profilare, e prendere conseguentemente delle decisioni consapevoli.

In fondo anche questo è fare revenue management.

Premesso che per le strutture stagionali estive, al momento meno impattate economicamente, bisogna solo aspettare, per le strutture annuali o con lunga stagionalità (business, città d’arte, termali ecc.) il discorso è un po’ più complesso.

Se da un giorno all’altro l’hotel si svuota e il proprio planner diventa tabula rasa, che cosa si può fare nel breve termine?

Posto che nel primissimo periodo di una crisi diventa difficile immaginare di fare incrementi rispetto all’anno prima, anzi l’obiettivo diventa limitare i danni e le perdite, che cosa si fa? Si abbassano i prezzi? Si alzano i prezzi? Si chiude l’hotel? Si licenzia il personale?

Far crollare i prezzi non serve!

È indubbio che, laddove le limitazioni oggettive di cui sopra prevalgano su quelle soggettive, far crollare i prezzi non serve.

Ma di certo non serve neanche l’operazione opposta, alzare i prezzi, nell’assunto che tanto “Non ci viene nessuno lo stesso”.

La verità è che davanti a tutte queste crisi, siano esse attentati terroristici, tensioni sociali o virus, quasi sempre abbiamo situazioni ibride dove ci sono sia dei segmenti che sono esposti a limitazioni oggettive, e su cui chiaramente si può fare poco, sia dei segmenti che sono esposti solo a limitazioni soggettive, e su cui invece le varie leve che conosciamo, tra cui il revenue management e il marketing, hanno ancora una loro funzione fondamentale.

E fare degli esperimenti è l’unico modo per capirlo.

Quegli hotel che sono stati in grado di costruirsi un buon mix di clientela, canali e segmenti, anche in funzione della loro brand reputation, tipologia e destinazione, avranno sicuramente più possibilità di reggere l’urto, ma lo faranno sempre adottando le leve che conosciamo.

E qui va detto che nel caso di questa crisi al momento le limitazioni soggettive, sicuramente amplificate dalle responsabilità dei media, stanno avendo un peso maggiore di quelle oggettive.

E il segmento di clienti meno esposto alle limitazioni oggettive, ovvero quello domestico, è paradossalmente quello che al momento sta facendo registrare le perdite maggiori.

Recuperiamo i clienti italiani prima degli stranieri

Il che però ci fa capire che qualcosa per limitare i danni si può fare, iniziando a recuperare gli italiani prima degli stranieri.

E, nei limiti del possibile, anche riscuotere le penali di cancellazione di chi chiede di cancellare in assenza di limitazioni oggettive, è un’istanza in questi casi legittima.

Sicuramente chiudere del tutto la struttura e tagliare il personale in attesa di tempi migliori è la scelta peggiore che si possa fare.

Per una serie di ragioni.

Innanzitutto perché chiudendo difficilmente sarà possibile capire quando arrivano i tempi migliori, la crisi è davvero finita e ha senso riaprire.

Poi perché chiudendo le vendite online, si perde inevitabilmente visibilità e si danneggia il meccanismo del ranking sulle ota sul medio-lungo periodo, oltre a perdere nel breve termine potenziali prenotazioni di clienti non esposti né a limitazioni oggettive né soggettive.

E che per quanto possano essere molti meno del solito, contribuiscono comunque a tenere vivo l’albergo.

E poi perché chiudendo non si fa altro che alimentare quel meccanismo mediatico che si vuole invece combattere, ovvero l’immagine di un paese allo sbando e che sembra stia vivendo una guerra che non c’è.

Gli hotel che resisteranno alla tentazione di chiudere saranno sicuramente in grado di godere dei benefici della fine della crisi prima e meglio di chi invece avrà optato per la soluzione più drastica della chiusura e del conseguente licenziamento di persone.

Per quanto l’occupazione e i ricavi possano dare adesso l’impressione di non giustificare i costi sostenuti nel tenere l’albergo aperto, i danni di una scelta del genere nel lungo periodo potrebbero essere superiori ai relativi vantaggi nel breve periodo.

Piuttosto, sarebbe più consigliabile approfittare della situazione per anticipare una parziale ristrutturazione delle camere e dell’albergo in modo da presentarsi in una veste migliore nel momento in cui la crisi sarà passata.

Questi gli scenari che si aprono “post virus”

Ok, e dopo? Quando finirà la crisi? Quando riprenderanno i flussi delle prenotazioni e torneranno a riempirsi gli alberghi?

Difficile ipotizzare delle tempistiche.

Tutto dipende dall’evoluzione di questo virus.

Lo scenario migliore e che ci auguriamo tutti è che le misure adottate in Italia (e non è questa la sede per giudicare se eccessive o meno) portino nell’arco di qualche settimana/mese a stabilizzare e ridurre il numero dei contagi, e nel frattempo il virus si indebolisca con l’arrivo del caldo e della bella stagione.

Contestualmente vari paesi inizieranno ad allentare le loro misure restrittive verso l’Italia e le cose torneranno alla normalità con l’effetto compensativo di flussi prenotativi anche più veloci del normale.

Lo scenario peggiore, e forse più verosimile, è che invece questo virus diventi una vera epidemia globale, se non pandemia, che colpirà tutti i paesi del mondo, anche se con un tasso di letalità (rapporto tra decessi e contagiati) irrilevante da un punto di vista percentuale (anche per via del fatto che il numero dei contagiati è in realtà nettamente superiore a quello ufficiale, se consideriamo tutti gli asintomatici, quelli che non si dichiarano e quelli che in diversi paesi del mondo, esclusa l’Italia,  vengono invitati all’autoquarantena senza essere sottoposti a test ed entrare quindi nei conteggi ufficiali).

E inizieranno a emergere focolai imponenti anche in altri paesi europei, come successo in Italia.

A quel punto questa sciagura inizierà ad essere equamente distribuita tra più paesi e i riflettori non saranno più puntati in negativo solo sull’Italia come il paese degli appestati, come se il virus ce l’avesse solo con noi.

Non è un caso che paesi come Svizzera, Francia e Germania abbiano già annullato eventi di rilevanza internazionale.

Questo sicuramente ridurrà l’impatto mediatico devastante che questo virus sta avendo sul nostro paese e contribuirà ad una lenta e graduale ripresa delle performance.

A quel punto però l’impatto globale di questa crisi porterà i vari governi a prendere decisioni di rilevanza vitale per l’intera economia mondiale.

Tutto il clamore mediatico sul numero dei contagiati e su quale paese ne ha più di altri perderà la sua rilevanza emotiva.

E tutte le misure di contenimento e limitazione alla circolazione delle persone non avranno più molto senso.

Sostituite invece da misure di mitigazione, buon senso (individuale e collettivo) e prevenzione.

Con l’obiettivo non più di ridurre la diffusione del contagio, ma rallentarla e spalmarla da un punto di vista temporale per consentire agli ospedali di non andare al collasso e riuscire a gestire quella bassa percentuale di casi più gravi.

Ammesso che arrivi un vaccino, se arriva, tra un anno o un anno e mezzo, cosa facciamo nel frattempo?

Annulliamo tutti gli eventi planetari?

Sospendiamo la convenzione di Schengen?

Ci barrichiamo tutti in casa per un anno e blocchiamo l’intera economia mondiale per un virus che ha un tasso di letalità inferiore all’1%?

Con conseguenze a quel punto ben più pericolose per la salute del genere umano di un virus che ha un tasso di letalità così irrilevante?

Inconcepibile, insostenibile e insensato che accada uno scenario del genere.

Verosimilmente impareremo tutti a convivere col rischio di questo virus e l’istinto naturale di vivere (e viaggiare) prevarrà in modo liberatorio e prepotente sulla paura.

Del resto nel mondo di oggi siamo esposti a rischi di fenomeni ben più letali e spaventosi, in quanto imprevedibili, come attentati terroristici o disastri naturali, che di certo non ci impediscono di continuare a viaggiare.

Non vediamo perché un virus che ha perlomeno il vantaggio di essere prevedibile, rispetto ad altre sciagure, e quindi gestibile e controllabile, debba bloccare l’intero genere umano.

La ripresa ci sarà e sarà travolgente

Da un punto di vista alberghiero, uno scenario del genere comporterà sicuramente nei primi mesi una contrazione del turismo a livello mondiale (come del resto successe dopo l’11 settembre o durante la crisi economica del 2008), ma la ripresa sarà molto più travolgente di quanto non lo sia stato il crollo.

E allora lì bisognerà essere bravi a gestire gli effetti della ripresa.

Motivo per cui consigliamo di essere parsimoniosi nella distribuzione delle camere online per i prossimi mesi, per evitare di farsi sfuggire la situazione di mano nel momento della ripresa che sarà dirompente, e vendere troppe camere a prezzi più bassi del dovuto, non riuscendo così a recuperare le perdite attuali dovute al crollo della domanda.

Quindi il revenue management ha ancora un’utilità e un senso anche in queste situazioni drammatiche, nel momento in cui ci consente di monitorare attentamente la situazione su base giornaliera, contenere le perdite nel breve termine, fare previsioni e gestire nel modo più redditizio possibile la ripresa nel medio e lungo termine, in modo da recuperare quanto perduto.

In conclusione, è inutile nascondere l’evidenza, ci saranno dei mesi di sofferenza, ma se terremo duro e saremo in grado di non farci prendere dal panico e prendere le dovute decisioni strategiche sul breve, medio e lungo periodo, nel momento della ripresa (che ci sarà e sarà incontenibile più del virus), potremo recuperare con gli interessi tutto quello che stiamo perdendo ora.

 

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