Turismo, previsto record di presenze e di “assenze”… di personale nel settore

Boom di turismo nella nostra penisola. Le prospettive sono da record nel 2023. Secondo le previsioni dell’istituto Demoskopika, saranno oltre 442 milioni le presenze con una crescita del 12,2% rispetto al 2022, costituendo il valore più alto di sempre.

A fronte di questa crescita record è allarme (vero) sulla mancanza di personale: servono quasi 500mila lavoratori ma almeno il 40% è introvabile.

Tant’è che molte strutture hanno difficoltà ad avviare la stagione in queste settimane perché non trovano receptionist, cuochi o camerieri.

Tutta colpa del reddito di cittadinanza?

Contrariamente a quanto si possa immaginare, il reddito di cittadinanza è solo una minima parte di un problema ben più radicato.

Scontiamo la mancanza di politiche attive e di servizi di orientamento, e sicuramente incidono gli effetti distorsivi di generose politiche di sussidio.

C’è anche un problema culturale perché ancora in molti associano il lavoro al bar o al ristorante con un “lavoretto”.

Si sottolineano spesso i sacrifici, in termini di orari, anche se i contratti di lavoro prevedono riposi e ferie e, per determinate figure, come il cuoco o il direttore di sala, le retribuzioni sono di tutto rilievo.

Inizialmente si è pensato al covid, poi si è parlato dell’eventuale responsabilità del reddito di cittadinanza.

Adesso la riflessione arriva dalla constatazione che la richiesta e l’offerta del lavoro sono cambiati molto rispetto al passato: oggi, per tutta una serie di motivi, i settori che impongono degli orari e dei tempi differenti da quelli tradizionali fanno fatica.

E parliamo quindi di mestieri legati ai pubblici esercizi, alla ristorazione e all’accoglienza.

Le associazioni di categoria chiedono al Governo di accompagnare le politiche attive del lavoro a incentivi come la temporanea decontribuzione dei salari per settori come il turismo che hanno bisogno di trattenere le competenze, e una lungimirante politica sui flussi migratori.

Il paradosso

Nel 2022 i pernottamenti nelle strutture ricettive italiane hanno raggiunto quota 400 milioni e la tendenza appare favorevole anche per il 2023 sia sul fronte del turismo interno che da oltre confine.

Una situazione paradossale: da un lato si prospetta un aumento del volume della produzione e dei posti di lavoro creati, dall’altro le imprese del settore continuano a registrare carenza di addetti.

La difficoltà nella ricerca del personale ha assunto anzi un contorno ormai strutturale, che si manifesta regolarmente già dagli anni pre-pandemia, ma che sta diventando sempre più grave dopo la ripartenza del comparto.

I profili necessari sono per il 2,6% di professioni con elevata specializzazione, l’81,5% professioni qualificate, l’1,3% di addetti specializzati e il 14,6% di professioni non qualificate.

Ma sono proprio queste ultime figure quelle di più difficile reperimento, in particolare facchini, camerieri semplici, lavapiatti e addetti alle pulizie.

Per un cameriere semplice si parte da 1560 euro lordi al mese, per capo cuoco o capo barista si parte sopra i 1.740 euro mensili, lo stesso per un primo portiere.

La prospettiva: meno addetti, meno qualità del servizio 

La mancanza di personale, sempre secondo le associazioni di categoria, porterà nei prossimi mesi le imprese a misurarsi con una situazione complessa e imprevedibile dal punto di vista organizzativo dei processi produttivi, senza trascurare che le destinazioni competitors dell’Italia sono già pronte a migliorare i volumi degli arrivi turistici del 2022.

In particolare, per le imprese che non riusciranno a reperire tutti gli addetti necessari, è possibile stimare una perdita media di fatturato nel periodo del -5,3%, con conseguente abbassamento degli standard qualitativi e impatti sulla produttività.

Come stanno tamponando il problema le aziende

Le aziende del settore stanno cercando anche di trovare soluzioni adeguate per quanto riguarda gli alloggi per i dipendenti, i cui oneri, sono completamente a carico dei datori di lavoro.

Hanno avviato incontri con le scuole, creato alleanze con i centri per l’impiego e le agenzie Adecco per tamponare il problema.

Ma occorre trovare una soluzione strutturale, anche utilizzando le risorse del PNRR.

Servono politiche attive, ora quasi del tutto assenti.

Bisogna rafforzare la formazione professionale di figure turistiche, e aprire ai ragazzi in età scolare prevedendo occupazioni temporanee a totale esenzioni di imposta.

E poi pensare a normative speciali per garantire una ‘staffetta’ tra i lavoratori nelle attività stagionali.

Pure la gestione del Reddito di Cittadinanza e dei flussi di immigrazione va ripensata, collegandola a opportunità di formazione e a un vero inserimento nel lavoro.

Occorre investire sulla qualità del lavoro

Il turismo è un comparto nel quale si fa ampio uso e abuso di contratti precari e dove è presente una diffusa irregolarità, come dimostra periodicamente l’Ispettorato del lavoro.
Trattandosi di un settore importante per l’economia del Paese, è necessario investire sulla qualità del lavoro con la formazione e qualificazione del personale dando al contempo continuità all’occupazione oltre alla stagionalità.

Sicuramente non sono i voucher la risposta, ma lo è, tra le altre cose, una rapida conclusione del processo per il rinnovo del contratto nazionale del settore turismo scaduto nel 2019. 

Lavorare nel turismo paga?

“Se non trovate dipendenti forse è perché non pagate abbastanza”: questa in effetti l’obiezione più comune all’allarme lanciato dalle associazioni di categoria.

Cosa rispondono, dunque, gli imprenditori?  Che l’unica soluzione possibile è quella di sgravare dai costi abnormi le aziende del settore, per offrire contratti degni di risvegliare l’interesse del lavoratore.

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