Altro che Revenue Management, per certi albergatori ci vuole lo psicologo

L’ho sempre detto: per rimuovere le resistenze culturali e psicologiche che frenano il decollo del Revenue Management non basterebbe un bazooka. Ne sono consapevole, ma quando certi albergatori continuano a pormi le solite domande accompagnate da espressioni dubbiose o saccenti, continuano a cadermi le braccia. “Devo resistere”, ripeto mentalmente a me stesso: il RM è una missione e prima o poi riuscirà a fare breccia anche nella testa nei più scettici.

Di certo non si parte con il piede giusto quando ti senti dire che la struttura di cui si parla “è diversa dalle altre”. Già in questa frase si nota che in realtà è uguale a tutte le altre. Per un motivo semplice: anche negli altri alberghi mi ripropongono, come un disco rotto, lo stesso ritornello. Ognuno crede di gestire o possedere qualcosa di speciale. Questo in parte è anche vero, come è vero che ogni essere umano è unico e irripetibile. Ma è altrettanto vero che il RM non fa figli e figliastri: applicando le sue logiche tutti possono ottenere risultati importanti.

Gli albergatori, più che pensare di coccolare ed esaltare qualità e diversità delle proprie strutture, farebbero bene a ricordare che le loro non sono nient’altro che aziende. E le aziende, nessuna esclusa, devono seguire determinate logiche commerciali e tariffarie. Sarebbe il caso di tenerlo sempre in mente.

Sappiano, inoltre, i signori albergatori “old style”, che la “legge” del Revenue è uguale per tutti, a prescindere dalla capacità ricettiva, dalla categoria o dalla località. E invece (rincollatemi le braccia, please!) ecco il solito “originale” discorsetto: “Qui ci sono troppi alberghi e il mercato è saturo. E poi, perché dovrebbero venire proprio da me?”.

A parte il fatto che parlare di “mercato saturo” in città come Roma e Firenze è un po’ come essere convinti che la terra sia piatta. Con l’applicazione del RM non solo nelle città d’arte si riempirebbero tutte le stanze invendute, ma si andrebbe anche oltre: si potrebbe cioè arrivare a un punto in cui non si riesce più a soddisfare la domanda a causa dell’elevato numero di richieste.

La verità è che i clienti sono più avanti rispetto agli albergatori. Loro, i potenziali clienti, con le tariffe dinamiche ci “giocano” da una vita. Da anni vanno sul web a scovare l’offerta migliore, mentre gli operatori del settore ancora si pongono il (falso) problema: “Cosa diranno coloro che offrono un prezzo diverso per la stessa camera?”.

Beh, la risposta è scontata. Sarebbe magari il caso di ricordare che le stesse logiche le applicano da molti anni le compagnie aeree e anche nei supermercati – se ci si fa caso – i prezzi variano con una certa frequenza. Si applicano per l’appunto tariffe dinamiche, dovute magari alla scadenza o al lancio di un prodotto o, ancora, perché si vuol consolidare una fetta di mercato.

Ma ecco che quando tutto sembra chiarito, arriva la domanda che stenderebbe al tappeto anche Mike Tyson: “Eh, ma a vendere con le tariffe basse tutti sono bravi!”. Permettetemi: “Aridaje!”. Lo ripeto una volta per tutte ( pur nella consapevolezza che purtroppo non sarà l’ultima): RM non significa vendere a prezzi bassi, bensì vendere a prezzi variabili a seconda delle esigenze del mercato in quel preciso momento. In realtà il vero cruccio di certi albergatori non è l’entità della tariffa, quanto accettare la sua dinamicità.

Rimuovere certi ostacoli di ordine psicologico è un’impresa. A volte, quando parlo con certe teste dure, mi viene in mente un vecchio adagio popolare: a lavare la testa all’asino si perde tempo, acqua e sapone. Ma non demordo: seppur lentamente, si comincia a comprendere che è questa la via maestra per migliorare fatturati e profitti. Certo, il RM non fa miracoli (e men che mai in tempi record), ma di certo permetterà di ottenere buoni risultati in tempi ragionevoli. Esperienza e sensibilità permetteranno poi di fare sempre meglio.

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