Risultati hotel Italia nel 2020 e previsione per il 2021

Iniziamo col dire una cosa fondamentale. Questa crisi legata alla pandemia da Covid-19 ha sicuramente colpito il turismo e l’industria ricettiva e alberghiera, ma non ha colpito tutti allo stesso modo.

 

Come abbiamo riportato in altri nostri precedenti articoli nel 2020 abbiamo assistito in alcune destinazioni a performance nettamente superiori al 2019, un segnale che certi luoghi hanno paradossalmente beneficiato dell’effetto pandemia, che ha spostato e indirizzato i flussi dei viaggiatori verso determinate zone invece di altre.

I dati che mostreremo di seguito sono estratti dal software di revenue management Revolution Plus su un campione di 300 strutture in consulenza col Franco Grasso Revenue Team.

Mare, montagna e lago

Partiamo dall’analisi della montagna, del mare e del lago che in estate hanno registrato performance superiori al 2019 (anche in termini di prezzi medi di vendita, come visibile dal grafico riepilogativo a inizio articolo) in quei mesi in cui effettivamente non c’erano restrizioni ai viaggi e la situazione sanitaria era relativamente tranquilla.

Va detto che queste performance sono state determinate in gran parte da una domanda domestica fortissima che ha compensato il calo di stranieri dovuto alle restrizioni internazionali ai viaggi e che si è espressa in misura maggiore attraverso prenotazioni dirette (telefono, email, walkin), con finestra di prenotazione molto corta e utilizzando l’auto come mezzo di trasporto prediletto.

Come visibile dal grafico a seguire, la montagna ha seguito un andamento coerente con la situazione epidemiologica: Gennaio e Febbraio 2020 decisamente ottimi, seguiti poi dal crollo legato alla prima ondata e al primo lockdown di marzo-aprile-maggio (mesi di bassa-media stagione per la montagna), una lieve ripresa a giugno seguita dal boom di luglio, agosto, settembre e ottobre.

Per poi tornare a un calo a partire da novembre, con l’inizio della seconda ondata in tutta Europa e le prime restrizioni e chiusure che si sono protratte fino alle festività natalizie. Il risultato annuale finale, al netto della differenza col 2019, aggravata dalle restrizioni di Natale e Capodanno, è stato comunque positivo per la montagna e ha generato importanti profitti per gli hotel di questo cluster.

 

Il mare e il lago hanno avuto andamenti speculari tra loro. Analizzando la classica stagionalità maggio-ottobre, possiamo notare come i mesi più deboli in assoluto siano stati quelli iniziale e finale, maggio e ottobre, che tendenzialmente rappresentano la bassa/media stagione per queste località. Chiaramente maggio è stato condizionato dal lockdown e dalle chiusure interregionali ed europee, ma dopo la lenta ripartenza di giugno abbiamo assistito all’esplosione di luglio, agosto, settembre che hanno determinato un risultato fantastico per gli albergatori di queste località. C’è stato poi un calo ad ottobre dovuto al maltempo e alle prime avvisaglie di seconda ondata e restrizioni in altri paesi vicini europei che ha determinato una riduzione dei flussi di turisti stranieri (tendenzialmente ottobre è un mese in cui le località vacanziere italiane riescono a destagionalizzare grazie agli stranieri, in primis tedeschi, olandesi, svizzeri, scandinavi ecc.).

Quindi i decrementi dovuti al lockdown sono stati compensati dagli ottimi incrementi dei mesi centrali estivi e nel complesso il risultato finale della stagione per gli hotel di lago e di mare, nonostante tutte le difficoltà della pandemia e il lieve calo rispetto al fatturato del 2019, è stato decisamente positivo e redditizio per gli albergatori di queste località.

Città

Per quanto riguarda le città d’arte o a doppia vocazione business e leisure (tra cui Roma, Milano, Firenze, Napoli, Bologna, Bari, Palermo ecc.), la situazione è sicuramente la più complessa di tutte. Si tratta di destinazioni che dipendono in gran parte da segmenti (leisure internazionale, gruppi, MICE ecc.) che si sono quasi azzerati con la pandemia.

Il grafico a seguire evidenzia infatti l’impatto che la prima e seconda ondata, con conseguenti restrizioni ai viaggi internazionali, cancellazioni eventi e congressi, chiusure ristoranti, bar, musei, e altri luoghi d’intrattenimento hanno avuto sulle città. Tuttavia, in mezzo a queste due ondate c’è stato un periodo che va dalla seconda metà di giugno alla prima metà di ottobre 2020 che ha visto una grossa ripresa delle città (grazie alle riaperture delle frontiere europee e alla ripresa di gran parte dei voli in ambito UE, con una prevalenza di clienti tedeschi, inglesi, francesi, olandesi, svizzeri, belgi), per quanto a prezzi medi inevitabilmente inferiori al 2019, e che ci induce ad essere molto ottimisti sul futuro.

Si tratta di un periodo in cui un buon mix di domanda business e leisure domestica ed europea hanno ridato un po’ di fiato sia alle grandi che alle piccole città.

 

Chiaramente dalla seconda metà di ottobre a fine dicembre, con il ritorno di lockdown, zone rosse, restrizioni varie anche in ambito europeo, gli hotel di città hanno dovuto reggere l’urto attingendo fondamentalmente solo a clientela business domestica, smart workers, persone che avevano bisogno di isolarsi o domanda legata all’emergenza sanitaria. Quindi clientela che si è sempre mossa durante la pandemia, anche nelle fasi più delicate, e che ha generato sempre domanda per gli hotel.

Ci sono hotel di città, che in virtù di una posizione e alcuni servizi particolarmente attrattivi per il segmento business  (ristorante, room service/food delivery, parcheggio, ottima connessione wifi ecc.) hanno potuto limitare i danni sia durante la prima che seconda ondata, con relativi lockdown e zone rosse/arancioni/gialle, raggiungendo anche in questi periodi soddisfacenti performance di occupazione e ricavi.

Va anche detto che nelle città si riscontrano differenze di performance non solo in base all’area geografica ma anche alla categoria di struttura. Non c’è dubbio che gli hotel 5stelle lusso, storicamente legati all’incoming leisure straniero (americani, asiatici, russi, arabi ecc.) abbiano sofferto molto di più degli hotel 3 e 4 stelle.

Quello che abbiamo riscontrato nel campione esaminato sopra è che la maggior parte degli hotel di città (soprattutto 3 e 4 stelle e con un’ottima reputazione online), nonostante tutte le difficoltà abbiano raggiunto a fine anno un risultato tale da garantire perlomeno il cosiddetto breakeven point (detto banalmente il punto di pareggio tra costi e ricavi), elemento indispensabile per la sostenibilità economica nel breve termine. E in un anno folle come quello che abbiamo appena vissuto, aver raggiunto il break even point (e in alcuni casi virtuosi anche un utile) per gli hotel di città era sicuramente l’obiettivo principale a cui ambire.

Sicuramente la riduzione dell’offerta nelle città (in base a dati incrociati di Booking.com e STR durante la pandemia tra il 15 e 30% degli hotel hanno chiuso temporaneamente) ha compensato in parte la riduzione della domanda, e in parte favorito quelle strutture che sono rimaste sempre (o quasi sempre) aperte. Abbiamo sempre sostenuto che da un punto di vista strettamente commerciale rimanere aperti è sempre la scelta migliore e per quanto la domanda possa dare l’impressione di non giustificare i costi sostenuti nel tenere l’albergo aperto, i danni della scelta di chiudere nel medio-lungo periodo potrebbero essere superiori ai relativi vantaggi economici nel breve periodo.

Chiudere un hotel per un lungo periodo sicuramente comporta una notevole riduzione dei costi, ma non li azzera del tutto (ci saranno sempre mutui, affitti, costi di manutenzione, tasse da sostenere ecc.), mentre sicuramente azzera i ricavi. Oltre a penalizzare il posizionamento, la visibilità e il tasso di conversione online. In periodi di crisi e scarsa domanda è quasi sempre preferibile cercare di rimanere aperti ottimizzando il più possibile l’operatività con pochi costi fissi e molti costi variabili proporzionali all’occupazione o al fatturato (affitto, provider tecnologici, personale a chiamata ecc.), e cercare di tenere il motore dei canali online sempre acceso alimentandolo con prenotazioni e recensioni, che per quanto possano essere poche comunque porteranno benefici in termini di visibilità nel medio periodo e aiuteranno a raggiungere l’obiettivo di break even sopra descritto.

A tal proposito STR, la più grande società di benchmark al mondo, ha evidenziato come durante la pandemia gli hotel di città che sono rimasti sempre (o quasi sempre) aperti abbiano ottenuto performance migliori di quelli che hanno deciso di chiudere per lunghi periodi e riaperto solo durante l’estate, quando il lockdown era terminato, le restrizioni rimosse e il virus sembrava essere sotto controllo, per poi richiudere durante la seconda ondata e lockdown.

I dati descritti finora dimostrano inoltre quanto sia importante che gli aiuti governativi, già molto ridotti, tengano conto di questa profonda differenziazione tra destinazioni e tipologie di hotel e del fatto che ci siano strutture che sicuramente hanno bisogno di aiuti economici molto più di altre.

Previsioni 2021

Ora che abbiamo analizzato cosa è successo nel 2020, passiamo ad analizzare quello che potrebbe succedere nel 2021

Innanzi tutto va detto che questo virus ci ha dimostrato come sia complicato fare previsioni attendibili, dato che spesso gli stessi scienziati non sono in grado di dare risposte e i politici dominano la scena con decisioni confusionarie, discutibili o incomprensibili.

Tuttavia dopo un anno di pandemia sicuramente abbiamo una mole di dati scientifici ed epidemiologici che ci consentono di fare proiezioni con margine d’errore più limitato e ipotizzare scenari che di volta in volta bisognerà interpretare dinamicamente e reattivamente e convertire in strategie efficaci per ottenere il miglior risultato possibile per i nostri hotel.

Oggi sappiamo che la nostra vita lavorativa e privata e l’intera economia, compresa quella turistica, dipendono in gran parte da un freddo numeretto, ovvero l’RT, l’indice che determina quante persone in media possono essere contagiate da una sola persona. Fin quando questo parametro rimane sotto l’1 possiamo stare relativamente tranquilli, in quanto l’epidemia è in fase di regressione. Quando supera l’1 iniziano a cascata tutta una serie di eventi che hanno inevitabilmente una ricaduta sugli hotel: aumento rilevante dei casi positivi, aumento dei ricoveri e terapie intensive, aumento dei decessi, restrizioni di vario tipo (lockdown, zone rosse, arancioni o gialle, chiusure attività commerciali, limitazione alla circolazione ecc.), danni notevoli per l’economia, calo della domanda per gli hotel.

La recente notizia dei vaccini e delle prime somministrazioni ha dato sicuramente una svolta alle nostre proiezioni sul futuro del turismo. Va detto che è ancora presto per capire gli effetti e le tempistiche del vaccino sulla ripresa del turismo. Ci sono ancora alcune incognite e ad oggi possiamo ipotizzare fondamentalmente due scenari, uno peggiore e uno migliore.

Scenario peggiore

Lo scenario peggiore è che il virus subisca mutazioni nel corso del tempo che potrebbero incidere sull’efficacia del vaccino e costringere la scienza a riadattarlo alle nuove varianti. Inoltre non sappiamo se il vaccino protegge solo dai sintomi o anche dal contagio e quanto dura la protezione. E anche se il vaccino si rivelasse efficace, nei primi 6 mesi le dosi saranno comunque insufficienti a coprire tutta la popolazione e in ogni caso ci potrebbe essere una buona parte di persone che, in assenza di obbligatorietà di vaccinazione, decideranno di non vaccinarsi per scetticismo, paura o posizione ideologica, rendendo quindi difficile l’obiettivo di una copertura della popolazione sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge (almeno 60/70% secondo gli scienziati). In tale scenario, purtroppo assisteremo a un 2021 identico al 2020 dove dovremo continuare a convivere col virus e a fare ciò che avremmo fatto in ogni caso se non ci fosse stato un vaccino.

Le armi per coesistere col virus continueranno ad essere le misure di prevenzione individuali e sociali, il potenziamento della diagnostica con i test rapidi e fai-da-te, il tracciamento, la tecnologia ecc. E continueremo a vedere ondate e ondine più o meno grandi e geolocalizzate, e “stop and go” regionali o provinciali più o meno lunghi decisi dalle istituzioni con chiusure e riaperture in funzione dell’andamento dell’RT locale, che rappresenterà un po’ la bussola da consultare spesso per gli albergatori e i revenue manager per pianificare al meglio gli aspetti operativi, commerciali e tariffari nel breve-medio periodo.

Uno scenario del genere, per quanto poco piacevole, va messo in conto. E gli hotel dovranno continuare per un po’ di tempo ad avere un assetto operativo flessibile, con una piccola parte di personale e costi fissi, e tutto il resto variabile per adattarsi alle diverse fasi epidemiologiche e adottare una strategia commerciale e tariffaria mirata a limitare i danni durante i periodi più difficili e massimizzare i ricavi in quei periodi in cui invece il virus ci dà tregua, l’RT rimane sotto l’1 e i politici ci concedono un po’ di libertà. Con la consapevolezza che durante l’estate, con gli uffici e le scuole chiusi, i mezzi di trasporto meno congestionati e le persone più propense a passare il tempo in spazi aperti e areati, la circolazione del virus dovrebbe essere più lenta e gestibile, e quindi l’attività turistica ne dovrebbe risentire positivamente.

Questa fase altalenante potrebbe durare fino a quando il vaccino non verrà reso obbligatorio o la pandemia non sparirà da sola come successo con altre pandemie che hanno segnato la storia. Nel frattempo l’obiettivo minimo per gli hotel continuerà ad essere, come nel 2020, quello di raggiungere il break even o generare un livello minimo di profitti. Un obiettivo che gran parte degli hotel sono riusciti a raggiungere nel 2020 adottando un’adeguata strategia operativa e commerciale per ottimizzare i costi da un lato e massimizzare i ricavi dall’altro.

Scenario migliore

Lo scenario migliore è che invece nei primi 6 mesi il vaccino venga somministrato almeno a un’adeguata percentuale di popolazione, in primis le categorie a rischio come personale sanitario e persone over 60 e con patologie pregresse, velocizzando così un processo di immunizzazione della popolazione già in corso e in fase avanzata per via delle ondate avute finora. Infatti oggi sappiamo, in base a diverse indagini sierologiche, che il numero di persone che è stato a contatto col virus potrebbe essere circa 10 volte superiore a quello ufficiale per via dell’altissimo numero di asintomatici (in gran parte persone sotto i 50 anni) che non viene tracciato.

Quindi se oggi 2 milioni di italiani sono ufficialmente risultati positivi al virus, è probabile che i veri contagiati possano essere stati 20 milioni, praticamente più del 30% della popolazione italiana.

E sappiamo da diversi studi scientifici che chi ha preso il Covid conserva ancora a distanza di un anno una memoria immunitaria protettiva, anche nel caso di soggetti asintomatici (nel caso della SARS del 2003, anch’essa nata da un genere di coronavirus, sono stati individuati pazienti con anticorpi a distanza di 17 anni). E sappiamo che i casi di reinfezione accertati ad oggi sono molto rari (6 su 80 milioni nel mondo, quindi circa lo 0,000007%).

Sappiamo da altri studi scientifici che Bergamo, la città più colpita d’Italia per numero di casi e decessi durante la prima ondata di marzo e aprile, ha vissuto quasi indenne la seconda ondata di ottobre e novembre grazie a una “quasi” immunità di gregge acquisita durante la prima ondata (dove oltre il 40% della popolazione fu contagiata) e che ha rallentato notevolmente la circolazione del virus, generando pochi casi positivi e consentendo agli ospedali di mantenere la situazione sotto controllo. In termini di circolazione del virus, gran parte del territorio italiano ha vissuto durante la seconda ondata quello che solo Bergamo e qualche altra città del nord Italia ha vissuto durante la prima ondata di primavera (prima che arrivasse il lockdown totale e nazionale).

E la situazione italiana rispecchia quella di gran parte d’Europa e d’America, ovvero i continenti più contagiati dal Covid.

In uno scenario del genere chiaramente è auspicabile ipotizzare che il raggiungimento della soglia del 60-70% per l’immunità di gregge possa avvenire molto prima del previsto, sia grazie al vaccino che all’immunità naturale di chi ha già contratto il Covid.

Se tutto va per il meglio potrebbe accadere in Europa e America già tra aprile e giugno, il che potrebbe accelerare la ripresa del turismo tra questi due continenti. Lo potremo intuire dall’andamento dell’RT, che nonostante l’allentamento delle restrizioni e la libera circolazione delle persone non crescerà più sopra l’1. Chiaramente ce lo confermeranno gli scienziati e le istituzioni sanitarie in base alle indagini sierologiche.

Nessuno di noi chiaramente ha la sfera di cristallo ed è in grado di dire quale scenario epidemiologico prevarrà e soprattutto quali altre decisioni folli ci potrebbero riservare i politici.

Ma di una cosa siamo sicuri al 100%, il mercato è prontissimo per lo scenario migliore.

Questa non è solo un’ipotesi ottimistica, ma una certezza matematica e una consapevolezza nata dall’analisi di quello che già è successo nel 2020 e visibile dai dati sopra descritti. Nell’estate 2020, quando il virus e i politici sembravano averci dato un po’ di tregua, il mercato è letteralmente esploso.

Certamente con intensità e prezzi medi differenti a seconda delle destinazioni. Ma è esploso dovunque e comunque, tanto nelle città d’arte quanto nelle destinazioni più vacanziere. I dati sopra descritti parlano chiaro. E chi sosteneva che la paura del virus o le difficoltà economiche legate alla crisi avrebbero frenato la voglia di viaggiare è stato smentito dai fatti perché l’unico vero fattore in grado di aver inciso profondamente sulla domanda sono state solo le decisioni politiche e le restrizioni ai viaggi.

Chi ha una struttura al mare, montagna o lago con un’ottima visibilità e reputazione online sa sicuramente di cosa stiamo parlando e avrà sicuramente provato quella sensazione paradossale per cui a un certo punto, da giugno in poi, il telefono è diventato rovente e si faceva fatica a stare dietro a tutte le email e richieste di prenotazioni.

E si è passati dal buio e sconforto assoluto di marzo e aprile dove non arrivava neanche una prenotazione al rammarico di non avere camere e personale a sufficienza per soddisfare tutta la domanda che si è presentata in modo travolgente da luglio a settembre. Alcuni hotel in determinate località, grazie a un meteo favorevole, hanno dovuto constatare a fine stagione, con un misto di sorpresa e imbarazzo, che il 2020 è stato paradossalmente l’anno migliore di sempre.

E allora non avevamo un vaccino e la popolazione immune che aveva già contratto il virus era ancora molto bassa. Eppure il mercato è letteralmente esploso. Che cosa potrebbe succedere ora che abbiamo un vaccino e auspicabilmente entro quest’estate potremmo raggiungere l’immunità di gregge?

Nell’ambito di quest’ultimo scenario epidemiologico, e con un meteo favorevole, questo potrebbe essere un anno FENOMENALE per montagna, mare e lago, di gran lunga superiore al 2019. E la montagna già ci sta dando segnali importanti in questo senso, come visibile dal grafico a seguire.

 

Per il mare e il lago i dati ancora non sono rilevanti, ma come abbiamo visto nel 2020 è solo questione di tempo prima che inizi lo tsunami di prenotazioni anche per queste località.

Sicuramente questo 2021 potrebbe vedere, nello scenario epidemiologico descritto sopra, una graduale ripresa delle città d’arte tra aprile e giugno (grazie ad una ripresa dei voli e un allentamento delle restrizioni in ambito europeo).

E alcuni hotel di città, quelli che sono rimasti sempre aperti durante la pandemia, che hanno un’ottima reputazione online e un’adeguata strategia commerciale e tariffaria, potrebbero vedere già dalla seconda metà del 2021 risultati superiori al 2019 per i cosiddetti effetti compensativi che vedranno gran parte della domanda accumularsi in quel periodo dell’anno a fronte di un’offerta e una concorrenza rimasta immutata, se non addirittura inferiore rispetto al 2019 (considerando tutte le strutture chiuse definitivamente a causa del covid).

Infatti oltre a tutti i clienti leisure internazionali che hanno dovuto rinviare per oltre un anno il viaggio della loro vita in Italia a causa delle restrizioni e non vedono l’ora di recuperare il tempo perduto, va considerato anche il fattore eventi. Molti degli eventi che avrebbero dovuto tenersi in modo spalmato nel 2020 e che poi sono stati annullati per il Covid, si concentreranno nella seconda parte dell’anno.

Basta vedere i primi segnali che ci arrivano da Milano, dove riscontriamo una forte pressione (anche in termini di prezzi medi di vendita) nel terzo trimestre dell’anno per via di determinati eventi di carattere internazionale. Questo è un segnale che certi segmenti come il MICE, i gruppi, il leisure e business internazionale potrebbero tornare in modo prepotente nella seconda metà dell’anno contribuendo alla forte ripresa delle città.

 

Altri segnali incoraggianti arrivano anche dagli americani, che in base ai dati di Expedia (incrociati con quelli di Booking) risultano essere il mercato più attivo sull’on the books per destinazioni come Roma, Firenze o costiera Amalfitana.

Come emerge dal grafico a seguire, in termini di percentuale di prenotazioni, gli americani sono al primo posto per la seconda parte dell’anno. Va detto chiaramente che i volumi in termini assoluti sono ancora inferiori a quelli di un anno normale pre-covid.

Ma questi dati, forniti dalle due principali ota del mercato, evidenziano sicuramente un trend che potrà rafforzarsi nel tempo con l’aumento della fiducia verso i vaccini e l’immunità di gregge ed è importante notare come un segmento fondamentale per molte città d’arte italiane (ovvero gli americani, intesi in primis come statunitensi ma anche canadesi, brasiliani ecc) stia già rivelando una certa fiducia e ottimismo verso la ripresa del turismo internazionale e a lungo raggio.

Per quanto riguarda i turisti asiatici invece potremmo dover aspettare il 2022 per rivederli. Molti governi asiatici hanno avuto un approccio decisamente meno tollerante nei confronti del virus (memori anche dell’esperienza della SARS nel 2003) rispetto ai governi europei o americani ed è verosimile che per molto tempo, fino a che non ci sarà una vaccinazione di massa, ci possano ancora essere diverse restrizioni che freneranno i flussi turistici da e verso quei paesi.

 

 

Conclusioni

Come è emerso dalle nostre considerazioni, quest’anno sarà fondamentale per gli hotel adottare la giusta strategia che prevede da un lato un assetto operativo flessibile in termini di costi per far fronte alle fluttuazioni della domanda legate alla pandemia, dall’altro un approccio commerciale e tariffario dinamico e reattivo per massimizzare i ricavi nei momenti in cui la situazione sanitaria lo consente e limitare i danni in quelli in cui subentrano restrizioni di varia natura che direttamente o indirettamente incidono sulla domanda.

In questo quadro, il 2020 ci ha dimostrato come il revenue management è sempre di vitale importanza per raggiungere il miglior risultato possibile, tanto nei periodi favorevoli di mercato quanto (soprattutto) nei periodi di crisi e scarsa domanda. E per quanto possa sembrare assurdo e inconcepibile, il 2020 ci ha dimostrato come il revenue management sia valido e applicabile anche nel bel mezzo di una pandemia.

Se poi tutto va per il verso giusto e l’alto numero di vaccinazioni (in congiunzione con il numero immenso di persone già immuni per aver contratto il covid), ci aiuteranno davvero ad uscire dall’incubo, bisognerà essere bravi a gestire gli effetti della ripresa che potrebbero essere addirittura travolgenti per quelle strutture con un’ottima reputazione e visibilità online e che sapranno leggere e interpretare reattivamente e dinamicamente le evoluzioni del mercato.

 


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