39, 49, 59…è davvero questo il revenue management?

Cari lettori, quante volte avrete sentito o utilizzato l’espressione “fare revenue”?

Beh, io l’ho sentita centinaia di volte, in particolare quando mi trovo a parlare con albergatori e direttori che sono entrati in consulenza o con i quali semplicemente stabiliamo piacevoli conversazioni di lavoro.

Ad esempio, quando mi trovo nella fase iniziale della consulenza, quella in cui cerco di raccogliere i dati storici della struttura e analizzare i comportamenti commerciali e le politiche di vendita adottate dalla struttura, spesso mi sento dire “Sa, noi già abbiamo fatto revenue ogni tanto”.

Incuriosito, cerco di addentrarmi nei meandri semantici di quest’espressione per capire cosa intendano per “fare revenue”. E inizio a porre domande tese a svelare l’arcano se non che, tutte le volte le risposte tendono inevitabilmente a vincolare in modo indissolubile il revenue management al pricing, quasi sempre in senso negativo, per intenderci con ribassi tariffari o scontistiche, ignorando così tutto un mondo immenso che si nasconde dietro il revenue management, di cui la tariffa rappresenta solo una parte, per quanto la più importante.

Ed ecco che allora si svelano tutti gli errori più comuni che penalizzano le performance di una struttura.

Gli errori più comuni

Certamente gli errori di pricing sono i più evidenti:  occupazioni bassissime in bassa stagione e occupazioni importanti, anche del 100%, in alta stagione ma a ricavi medi molto bassi.

E quindi in entrambi i casi perdita di fatturato. Ma poi bisogna analizzare tutta una serie di errori che condizionano l’andamento della struttura.

Partendo naturalmente dalle restrizioni (minimum stay, non rimborsabili, cancellation policy esageratamente rigide, blocchi arrivi, blocchi partenze ecc), fino ad arrivare all’incapacità di raccogliere dati statistici in modo preciso, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di mezzi (pms), un po’ per mancanza di voglia.

Oppure una valutazione sbagliata dei canali di vendita online, con la presenza di canali che spesso producono poco ma presentano commissioni molto alte, o magari chiedono un canone annuo fisso a prescindere da quanto producono.

O magari scelte sbagliate in merito a contratti con tour operator e agenzie, con concessione di allottment che a volte supera il numero totale di camere in possesso della struttura, e tariffe negoziate statiche ben al di sotto del ricavo medio potenziale in alta stagione e troppo alte in bassa stagione, cosa che condiziona anche la politica nei confronti dei canali online e genera vuoti (per non dire abissi) preoccupanti.

O, spesso, si prende atto di una scellerata gestione delle tipologie online, con l’incapacità di fare upgrade e upselling o con l’esistenza di un ventaglio di tipologie esagerato, che spesso eguaglia o  – in casi paradossali –  supera il numero totale di camere della struttura, generando buchi e buchetti dovuti all’impossibilità di garantire una prenotabilità e una visibilità continua.

Per non parlare naturalmente della gestione della brand reputation e dei commenti online, spesso trascurati, a volte per pregiudizio, a volte per mancanza di tempo, a volte per ignoranza.

Cosa fa un revenue manager?

E allora cosa fa un bravo revenue manager? Si limita solo ad alzare o abbassare le tariffe? Ovviamente no.

Un bravo revenue manager si mette a studiare e analizzare con pazienza tutti gli errori che hanno penalizzato le performance della struttura.

Partendo, laddove i dati raccolti lo consentano, da un’analisi dell’occupazione e del RevPAR (Revenue Per Available Room) giorno per giorno e mese per mese, cercando di capire dove e come poter aumentare l’occupazione (e quindi il fatturato) laddove è scarsa e incrementare il fatturato nei periodi in cui invece l’occupazione si è rivelata molto alta.

Segmentando l’occupazione e i ricavi medi per canali a tariffazione dinamica (Ota, sito, telefono, walkin) e canali a tariffazione statica (business, abituali, matrimoni, gruppi, tour operator, agenzie).

Dividendo possibilmente i ricavi medi per tipologia venduta (non assegnata). Analizzando il punteggio online e capendo cosa eventualmente lo rende basso, dando suggerimenti per migliorare la qualità dei commenti e soprattutto la quantità e freschezza, perché come abbiamo detto tante volte reputazione e revenue sono indissolubilmente legati.

Facendo una pulizia dei canali di vendita online inutili e dannosi. Rielaborando la politica commerciale e tariffaria con il mercato business e con i tour operator per armonizzarla ai canali online.

Rimodellando l’architettura delle tipologie di camera, semplificandone e profilandone l’offerta, anche in funzione dell’analisi della brand reputation e dei punti di forza della struttura, e valutando con cura la tariffazione di partenza, gli scostamenti e le linee tariffarie da adottare, con l’obiettivo naturalmente di massimizzare i risultati e incrementare il fatturato.

Analizzando giorno per giorno – attraverso i dati –  i movimenti occupazionali, leggendo e interpretandone il canale di provenienza, la distanza alla data, il trend della brand reputation, il meteo, l’offerta della zona e tante altre variabili.

Ma, mi preme dire, che anche la stessa scelta di abbassare, fermare o alzare la tariffa per una certa data (e poi di quanto, 10, 20, 50, 100 euro?), in funzione delle variabili citate, correggendo e imparando dai propri errori, può segnare in modo inequivocabile la differenza tra un revenue manager di professione e uno improvvisato.

Se poi si tende ad associare in modo critico (se non polemico) il revenue management solo alle tariffe basse come 39, 49, 59, beh, bisogna avere l’onestà intellettuale di sottolineare che il vero e bravo revenue manager è in grado, attraverso una cura sapiente delle operazioni citate, di allargare il più possibile la forchetta tariffaria, talvolta in modo inimmaginabile.

E vi assicuro che quei 39, 49, 59 con noi si sono spesso trasformati in 399, 499, 599 (se parliamo di 3 e 4 stelle) e tranquillamente 3.999, 4.999, 5.999 e oltre nei 5 stelle.

Per cui, cari lettori, mi auguro che d’ora in poi l’espressione “fare revenue” sia proferita con maggiore cognizione di causa.

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