Mostra del cinema di Venezia, un’opportunità turistica da sfruttare meglio
Nel 1997 l’isola di Manhattan è diventata un ghetto di massima sicurezza per criminali. (Breve sinossi de “1997: Fuga da New York”, dizionario il Morandini)
Era il 1981, iniziava un’epoca d’oro per i film di fantascienza e per una serie di saghe magnifiche che tutt’oggi i produttori di Hollywood si portano dietro per riscuotere successo al botteghino, John Carpenter dava vita all’indimenticabile Jena (Snake, nell’originale) Plissken, garantendo uno spicchio d’immortalità al fenomenale Kurt Russel.
Il parallelo cinefilo, volutamente evocato per essere in parte provocatorio ma soprattutto divertente, ci riporta alla costruzione turistica del Lido di Venezia.
Isoletta vicino alla Serenissima che vive la sua esistenza tranquilla per trecentocinquantacinque giorni l’anno.
Poi si trasforma in una zona ristretta ed estremamente complicata da vivere sia per chi la abita sia per chi, per lavoro o per passione, ne fruisce.
Tutto a beneficio della macchina turistica, mai così perversa e spietata come durante i dieci giorni della kermesse cinematografica.
Facciamo un passo indietro.
La mostra del cinema di Venezia è, dopo gli Oscar, la più antica manifestazione dedicata alla settima arte.
La prima però a non limitarsi a consegnare premi, bensì a mostrare pellicole e farle concorrere tra loro.
La prima edizione, svoltasi nel 1932, si tenne proprio in un albergo. Il Grand Hotel Excelsior (tutt’oggi cinque stelle lusso, posto come uno sfavillante faro a vegliare sulla laguna).
Si spostò poi nel 1937, qualche passo più in là, nello storico Palazzo del Cinema.
Per poi ampliarsi a numerose sale, sparse sulla lunga e stretta striscia di terreno che forma il Lido dove quest’anno proietteranno film per la settantaseiesima edizione del grande evento.
Dicotomia Turista: Dr. Etico e Mr. Conveniente
Il 6 Agosto 1932 fu proiettato il primo film della storia della Mostra. Il Dottor Jekyll di Rouben Mamoulian.
Una sorta di premonizione per ciò che poi sarà.
Divisi tra il glamour del red carpet e la fisiologica scontrosità di chi si trova, suo malgrado, inglobato da una massa di gente pronta a turbare lo scorrere della routine quotidiana.
Come viene affrontata questa grande opportunità dal mondo del turismo?
Chiaramente la domanda si potrebbe allargare a qualsiasi tipo di esercizio commerciale.
Non tutto il Lido si veste a festa, abbracciando lo spirito festivaliero.
Mediamente i prezzi dei ristoranti crescono, in modo certo non proporzionale alla qualità.
Mettendo in difficoltà chi si trova, più per necessità che per scelta, confinato nei paraggi.
Sì perché, prima di andare ad analizzare l’approccio ricettivo, è bene soffermarsi sulla tipologia di viaggista che si riversa alla ricerca del suo posto nel Palazzo del Cinema.
La maggiore fetta dei partecipanti rientra nel nucleo non meglio definibile di addetti ai lavori.
Dal professionista profumatamente pagato (nell’ambiente è nota la storia di famoso critico che è solito vedere soltanto dieci minuti di proiezione per poi andarsene, recensendo comunque il film) ai tanti che, invece, si arrabattano come mestieranti senza supporti economici (anzi spesso a proprio carico).
Come ogni festival, viene normalmente privilegiato chi ha la possibilità di accreditarsi.
Arriviamo quindi al terzo nucleo, quello più scomodo, l’appassionato non accreditato.
Esistono abbonamenti sopra ai 200 euro per due proiezioni serali mentre i biglietti singoli passano da un minimo di 18 euro circa ai 40 per le prime al Palazzo del Cinema.
Questi temerari cinefili, visti i tempi più rilassati a disposizione, possono anche riversarsi direttamente a Venezia.
Dove è più semplice – o, per meglio dire conoscendo la destinazione, meno impossibile – trovare una sistemazione a tariffe accettabili.
Il che non evita chiaramente il famigerato vaporetto, altro salasso per chi non è residente: dalla corsa singola a 7 euro e mezzo fino ai 60 per un abbonamento settimanale.
Vien da sé che affidarsi al pendolarismo non può essere un’opzione per chi per lavoro deve sfornare due o tre recensioni al giorno, seguire conferenze stampa e nutrirsi di più proiezioni possibile.
Detto per esperienza diretta di una vita precedente a questa, la vita da festival è massacrante.
E torniamo alla nostra dicotomia con un ritornello che spesso suona anche nella testa di molti albergatori di nostra conoscenza.
Posso far pagare così tanto per qualcosa che io stesso non reputo all’altezza?
In un mercato libero, regolato da volontà e non da necessità, è uno scrupolo che non siamo costretti a porci.
Il prezzo è troppo alto solo se il mercato lo respinge.
Non si può tuttavia completamente ignorare il fatto che durante i dieci giorni frequentemente ci siano in ballo ragioni di lavoro e, quindi, di necessità.
Alberghi – Campeggi – Case
Il trittico di offerte a disposizione del mercato mostra grandissime lacune nell’approccio commerciale dedicato all’evento.
Gli alberghi sono spesso fuori mercato: con l’irrobustirsi dell’indice medio di soggiorno, ci si attesta su una media di 200 euro a notte (per quel che riguarda le strutture più economiche).
E non dubitiamo che alcuni si leghino anche ad accordi convenzionati che vanno invece nella direzione diametralmente opposta, facendo crescere a dismisura solo l’occupazione.
C’è persino un campeggio sulla punta nord del Lido dove si sgomita per un posto a buon mercato.
Dovessimo trovare disponibilità, saremmo accolti da un listino statico che nemmeno l’inizio del Festival riesce a scalfire.
Infine le case.
I residenti più scaltri cedono la propria dimora per cifre importanti, lievemente sotto le medie alberghiere, spesso in nero.
Il vantaggio dell’appartamento è la possibilità di dividere la spesa.
Mentre una camera d’albergo accoglie generalmente due persone, una casa arriva anche a cinque o sei.
E, in certi frangenti, storcere il naso di fronte ad un divano non è consentito.
Il problema principale non è la carenza di posti letto. Ma la scarsità di Revenue.
Cosa accadrebbe se gli alberghi si muovessero sui binari di una corretta strategia commerciale?
Siamo al cospetto di una domanda retorica.