Hotel di città e pandemia: i pro e i contro delle aperture (e delle chiusure)

In quest’articolo, scriveremo alcune considerazioni sull’andamento degli hotel nelle principali città d’arte o a doppia vocazione business/leisure italiane (Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli ecc.) durante il 2020 e alcune proiezioni sul 2021, cercando di rispondere al quesito che molti albergatori di hotel di città ci pongono, ovvero se rimanere aperti o chiusi e, nel caso, quando riaprire.

Doverosa una premessa: gli hotel, a differenza di altre attività commerciali (ristoranti, bar, cinema, ecc.) non sono mai stati obbligati per legge a chiudere.

Quindi, la decisione è dettata da scelte personali o economiche, mai legislative.

I DATI: LA SITUAZIONE DEL 2020

Innanzitutto, se volessimo avere un quadro complessivo di qual è stato l’impatto che la pandemia ha avuto sugli hotel delle città d’arte, basterebbe sicuramente vedere i dati comunicati da Federalberghi, che parlano di perdite tra l’80 e il 90% rispetto all’anno prima e percentuali d’occupazione che, anche in estate, si sono aggirate tra il 10% e 20%, nonostante il virus fosse sotto controllo, le restrizioni fossero state allentate, le frontiere a livello europeo riaperte e buona parte dei voli ripartiti.

 

Questi dati, come tutti i dati aggregati, forniscono un quadro parziale della situazione, a maggior ragione quando si tratta di dati e medie che rappresentano un campione molto corposo da un punto di vista quantitativo e generico da un punto di vista qualitativo.

Sono infatti presenti hotel dai 3 a 5 stelle, strutture che sono rimaste sempre aperte, strutture che hanno chiuso per alcuni periodi o che sono sempre state chiuse, strutture che possiedono un’ottima reputazione online (sopra l’8 su Booking) e strutture con reputazione medio-bassa (inferiore all’8), strutture che applicano il revenue management e strutture che non lo applicano (e altro).

Nel grafico sottostante, mentre a marzo, aprile e maggio si nota che gli arrivi e le presenze sono calate di oltre il 90% rispetto all’anno prima, da metà giugno fino a ottobre (grazie a un miglioramento della situazione sanitaria e un allentamento delle restrizioni) c’è stata una crescita esponenziale della domanda.

Non ai livelli del 2019, ma con un forte picco e avvicinamento nel mese di agosto.

 

 

Questo aumento degli arrivi e delle presenze (per gran parte italiani e in misura minore europei), si è riversato soprattutto sulle strutture di mare, montagna e lago; tuttavia, la ripresa turistica ha coinvolto, anche se in misura minore, le città d’arte (grazie ad un notevole aumento di domanda da altri paesi europei, che ha inciso circa per il 50% sul totale degli arrivi nelle città), anche se non in modo uniforme.

 

Il dato aggregato fornito da Federalberghi è utile per avere un quadro generale dell’impatto della pandemia sulle città d’arte.

Analizzandolo tuttavia in modo disaggregato e dettagliato, si possono ottenere altre informazioni: per esempio, nelle città d’arte ci sono hotel che in estate hanno viaggiato tra il 60 e 80% d’occupazione, riuscendo a mantenere tra il 50 e 65% del fatturato rispetto all’anno prima, altri che sono rimasti fermi tra il 10 e 20% d’occupazione e altri hotel che invece hanno azzerato i propri ricavi e perso il 100% rispetto all’anno prima.

Questi ultimi, soprattutto, a causa della decisione di rimanere chiusi nonostante l’allentamento delle restrizioni alla mobilità e il netto miglioramento della situazione sanitaria.

Il grafico a seguire riguarda un campione circoscritto di un centinaio di strutture (3 e 4 stelle) collocate nelle principali città italiane (Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli ecc.), che sono rimaste sempre aperte durante la pandemia, con un’ottima reputazione online (sopra l’8 su Booking) e che applicano le tecniche di Revenue Management, mostrando l’andamento di occupazione e revpar in rapporto anche all’anno precedente.

 

(Dati tratti dal software di revenue management Revolution Plus, su hotel seguiti in consulenza dal Franco Grasso Revenue Team)

Come emerge dal grafico, dopo la flessione di marzo, aprile e maggio coincidente col lockdown totale e nazionale, da giugno in poi c’è stata una enorme ripresa per questi hotel di città, per poi vedere un nuovo calo a partire dalla seconda metà di ottobre.

Tuttavia, il calo da ottobre in poi non è stato impattante quanto quello di marzo, aprile e maggio, anche perché le restrizioni sono state sicuramente meno severe del lockdown di primavera.

QUALI SONO I RISULTATI OTTENUTI?

Quel che ci preme sottolineare sono due aspetti.

Il primo è che gli ottimi risultati estivi – nonostante la pandemia – per gli hotel nel campione esaminato, hanno consentito di generare quei profitti necessari a coprire buona parte delle perdite sostenute durante la prima e seconda ondata e a chiudere quindi l’anno con un bilancio economico fondamentalmente positivo o in pareggio nella gestione operativa costi/ricavi.

Il secondo è che la ripresa estiva ha visto strutture viaggiare a velocità diverse.

Ci sono alberghi con un’ottima reputazione e visibilità online, che sono rimasti sempre o quasi sempre aperti e si sono reinventati e riadattati alla pandemia puntando a segmenti nuovi, utilizzando strumenti e tecniche come il revenue management, limitando le perdite e ottenendo quote di mercato nettamente superiori rispetto ad altri che invece sono rimasti fermi, riaprendo per un breve periodo a fine estate per poi richiudere subito dopo, all’inizio della seconda ondata, o che addirittura non hanno mai riaperto.

Nei periodi più critici della pandemia, durante la prima e seconda ondata, abbiamo riscontrato tassi di chiusura anche del 30-40% (basta fare una ricerca su Booking per capire davvero quante strutture sono aperte e prenotabili in una determinata città).

Sul discorso delle aperture/chiusure è stata la stessa STR, la più grande società di benchmark al mondo, a evidenziare come quelle strutture sempre (o quasi sempre) aperte durante il lockdown avessero avuto anche in estate (con la fine delle restrizioni e la ripresa del turismo leisure) un passo diverso e nettamente superiore rispetto a chi avesse optato per aprire solo a lockdown terminato.

 

Le ragioni possono essere molteplici; fondamentalmente, però, due incidono in misura maggiore e che sono tra loro interconnesse.

In primis il fatto che città come Roma, Milano, Firenze hanno una domanda costante tutto l’anno per 365 giorni all’anno, rimanendo tale anche durante la pandemia.

Se è vero che il segmento leisure, per quanto il più importante e redditizio di tutti, si è visto solo in estate quando sono venute meno le varie restrizioni ai viaggi, in tutti gli altri periodi della prima e seconda ondata sono rimasti intatti una serie di segmenti non leisure ma comunque importanti per le città. Parliamo di persone che hanno continuato a viaggiare e a muoversi, nonostante la pandemia e le restrizioni, perché autorizzate a farlo.

Parliamo chiaramente della classica clientela business cha viaggia dal lunedì al giovedì generando in quei giorni occupazioni molto alte, operai che devono lavorare in determinati cantieri, giornalisti in trasferta, clienti day use che hanno bisogno di una camera per poche ore per varie ragioni, smart workers che non possono lavorare a casa e hanno bisogno di lavorare in ambienti idonei, persone che devono effettuare visite mediche di qualsiasi natura, personale sanitario in trasferta ecc. E potremmo andare avanti a oltranza, le motivazioni possono essere le più disparate. Non esistono solo i turisti.

E si tratta di persone che hanno bisogno di pernottare in un hotel, generando quindi domanda da saper intercettare e sfruttare.

In uno scenario del genere di costante domanda, che si esprime in primis attraverso i canali online, non essere visibili e prenotabili è comunque uno svantaggio che incide sul tasso di conversione di una struttura e quindi sull’algoritmo dei canali online che determina il livello di visibilità.

Viceversa, essere visibili e prenotabili e ottenere prenotazioni (quindi conversioni), magari accompagnate anche da ottime recensioni che fanno salire il punteggio online, consente poi di migliorare il proprio posizionamento e visibilità anche nel medio-lungo periodo.

Un’altra motivazione, strettamente interconnessa, riguarda i cosiddetti clienti convenzionati o abituali, cioè quei clienti che per ragioni perlopiù di lavoro spendono un numero più o meno costante di notti in un determinato hotel di riferimento.

Nel momento in cui quell’hotel, causa covid, decide di chiudere, i relativi clienti abituali che continuano a necessitare di pernottamenti potrebbero chiaramente dirigersi verso altri hotel aperti, con tutte le conseguenze del caso (se si trovassero bene, potrebbero continuare a tornare lì).

É chiaro che quando si analizzano quei segmenti che hanno generato domanda per gli hotel sia durante il lockdown di primavera che a novembre e dicembre (così come anche a gennaio di quest’anno, come visibile dal grafico a seguire), in piena seconda ondata, bisogna porsi delle domande.

 

Si tratta di una domanda tale da generare profitti e ricavi medi comparabili a quelli dell’epoca pre-covid? Chiaramente NO.

Si tratta di una domanda sufficiente a coprire buona parte dei costi fissi e sopravvivere in attesa di tempi migliori? Assolutamente SÌ.

A condizione però di avere da un lato una valida strategia per ottimizzare costi fissi e variabili, gestendo sapientemente internalizzazioni ed esternalizzazioni, e dall’altro una strategia commerciale, di revenue management e marketing finalizzata a intercettare quella domanda.

Avendo possibilmente una serie di caratteristiche e/o servizi che possono aiutare le materializzazioni anche grazie a specifici filtri di ricerca (es: ottima brand reputation, dall’8 in su, meglio ancora dal 9 in su, un ottimo wifi, ottima pulizia, servizio di ristorazione, room service o in alternativa spazi adeguati a consumare cibi e bevande vista la chiusura dei ristoranti causa covid, spazi adeguati per lavorare, parcheggio ecc.).

Se è vero che in condizioni normali di mercato, precedenti al covid, la domanda era talmente tanta da distribuirsi in modo più o meno equo su tutte le strutture, in periodi di bassa domanda, e a tariffe più o meno simili e competitive, sono inevitabilmente le strutture con un punteggio recensioni più alto e servizi migliori ad essere maggiormente visibili e appetibili e a catturare quindi gran parte di quella poca domanda esistente.

E i tempi migliori ci saranno sicuramente.

Ci saranno periodi in cui le restrizioni alla mobilità verranno necessariamente allentate.

Sia per un auspicabile miglioramento della situazione sanitaria e un rallentamento della circolazione del virus, sia perché restrizioni troppo prolungate nel tempo porterebbero ad altri danni sanitari, oltre che sociali ed economici.

Non è un caso che il governo e gli scienziati abbiano introdotto l’idea della “zona bianca”, raggiungibile con un parametro RT inferiore a 0,5, ovvero una zona dove non ci sono restrizioni alla mobilità di nessun tipo e le attività commerciali (ristoranti, bar, teatri, cinema, palestre ecc.) sono tutte aperte, ovviamente con le dovute cautele del caso.

Probabilmente alcune regioni italiane, a giudicare dal trend RT, potrebbero raggiungere questa zona già dalla seconda metà di febbraio o prima metà di marzo.

E non appena le restrizioni vengono allentate, le frontiere riaperte e i voli riprendono con una certa regolarità, la ripresa turistica e leisure è molto rapida, già l’abbiamo visto l’estate scorsa.

E, come abbiamo visto in un altro articolo i segnali per le città sono abbastanza incoraggianti da maggio 2021 in poi.

Oltre agli europei, hanno ripreso a prenotare con una certa regolarità anche i nordamericani.

 

 

Sulle date evento nella seconda parte dell’anno con grandi congressi e fiere internazionali stiamo poi registrando prenotazioni a tariffe molto alte, segno di una possibile forte ripresa del MICE.

Quindi che ci sarà la ripresa è fuor di dubbio, ma non tutti ne beneficeranno allo stesso modo e alla stessa velocità e intensità.

Gli hotel sempre aperti saranno i primi a beneficiare della ripresa.

Per cui bisogna farsi trovare pronti con la giusta strategia tariffaria, commerciale e marketing.

Ora che abbiamo visto tutti questi dati, torniamo alla domanda iniziale. Posto che si adotti la giusta strategia di vendita e si abbiano le giuste caratteristiche, vale la pena per gli hotel di città rimanere aperti durante la pandemia?

La risposta è sì.

Oggi a distanza di un anno dall’inizio della pandemia, possiamo dire con ragionevole certezza, bilanci e budget alla mano, che chiudere comporterebbe sicuramente ulteriori problemi, che aumentano tanto più lungo è il periodo di chiusura (e quindi invisibilità online).

Chiudere significa avere la certezza economica e matematica di essere in perdita, perché si azzerano i ricavi ma non i costi.

Rimanendo aperti invece, con la giusta strategia, si potrebbe ambire almeno al pareggio. E come abbiamo visto nel 2020, per quanto durissima, alcuni hotel di città ci sono riusciti.

Chiaramente, essendo nel mezzo di una pandemia, chi ha deciso di chiudere per ragioni personali, psicologiche ed emotive ha tutto il legittimo diritto di farlo.

Ma da un punto di vista strettamente economico, finanziario e commerciale, oggi possiamo dire, dati e numeri alla mano, che per gli hotel di città con un’ottima reputazione online e un’efficace strategia di vendita rimanere sempre aperti è la scelta migliore possibile.


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