Tutto questo un giorno sarà tuo: gli ostacoli da superare nel passaggio generazionale in albergo
“Occorre ricordare ai figli impazienti di dare inizio alla rivoluzione all’interno dell’albergo di famiglia ‘che anche i loro padri sono stati, ai loro tempi, dei rivoluzionari” Franco Grasso
Inauguriamo una nuova rubrica che vuole diventare uno strumento prezioso, in grado di aiutare le fasi di cambiamento che inevitabilmente vanno affrontate quando si cede (o si prende) il testimone dell’azienda di famiglia.
Uno dei motivi per cui il passaggio generazionale è un processo così complicato e delicato sta nel fatto che per un imprenditore che ha visto nascere – anzi, che ha fatto nascere – la propria azienda, è incredibilmente difficile lasciarla andare.
Il rapporto che si forma tra lui e la sua attività è quello che unisce il creatore alla sua creatura.
La sua vita è l’azienda: non c’è differenza tra azienda e casa, sono un tutt’uno.
Ed è da qui che si deve partire quando si comincia a immaginare il “subentrare” del figlio all’interno della struttura ricettiva: dall’amore e cura totalizzante che il padre ha per tutto quello che, con immensa fatica e dedizione – prendendosi tanti rischi – è riuscito a realizzare.
Franco Grasso ama ricordare ai “figli rivoluzionari” che scalpitano per far valere nuove idee, visioni, modi di fare e progetti, che anche i padri hanno dovuto fare – per far nascere l’azienda o per portare avanti la staffetta dei loro padri – la loro rivoluzione.
“Ogni generazione pensa di essere più intelligente di quella che l’ha preceduta e più saggia di quella che verrà dopo di lei” osserva con ironia George Orwell.
Ed è in questa precisa visione che il fallimento di un completo passaggio generazionale è dietro l’angolo.
Ecco perché nell’albergo dei propri genitori è giusto entrare, da giovani adulti, in punta di piedi, con religiosa delicatezza, pronti ad ascoltare (ancora e ancora), tutta l’impavida odissea che ha portato dal nulla e quello che c’è oggi, senza avere paura di aggiungere ai sogni del padre i propri sogni, arrivando, con pazienza e coraggio, a sognare lo stesso sogno.
Ma per arrivare a questo c’è bisogno di tempo e di maestria: per trasferire la guida dell’impresa dai genitori ai figli c’è la necessità di uno sforzo estremo da parte del padre di vedere – in questo processo di trasformazione – un’opportunità di crescita e di arricchimento della propria attività e non una minaccia.
Per iniziare con il piede giusto bisogna, da tutte e due le parti, imparare ad ascoltare, a conoscere l’altro nella nuova veste e, soprattutto, non dare mai nulla per scontato.
La rubrica che vi proponiamo vi accompagnerà, trattando i punti salienti di ogni passaggio generazionale, in tutte le sue tappe, spesso illogiche.
Proprio perché è si tratta di un momento molto delicato della vita familiare e aziendale, dove gli interessi in gioco e l’appetito rivoluzionario dei giovani rampanti spesso sono enormi, così come è grande la “mala gestione” di chi dovrebbe condurre il passaggio sapientemente ed oculatamente, dall’alto dell’età e dell’esperienza, ove scongiurare dinamiche spesso spiacevoli e poco controllabili, con risultati drammatici per tutti gli attori in campo.
Per farlo abbiamo scelto di raccontare storie di vita vera, nelle quali in molti si ritroveranno e, chissà, dalle quali si potrà trarre qualche insegnamento prezioso.
La storia di Antonio
Questa è la storia di Antonio, nato e cresciuto in hotel.
Uno di quegli imprenditori che non saprebbe vivere diversamente se non immerso nel suo mondo, fatto di alberghi, ristorazione, ospitalità con la O maiuscola insomma.
“Mi capita quasi tutti i giorni, mentre sono immerso nella mia attività, di chiedermi: sarà stato un vantaggio o uno svantaggio essere nato e aver vissuto tutta la vita nelle aziende alberghiere e ristorative della mia famiglia? Ebbene, ad oggi non ho ancora una risposta chiara, perché a giorni alterni propendo per il sì o per il no.
Il No “mi prende” quando penso che mi sono precluso tante fasi naturali tipiche dell’adolescenza, quando i miei coetanei erano nel pieno delle loro emozioni, delle loro follie, della loro spensieratezza mentre io già lavoravo e non mi era concesso divertirmi allo stesso modo in cui lo facevano loro.
Poi però, il Sì fa capolino, a ricordarmi che ho la fortuna di fare il lavoro più bello del mondo, quello di “Ospite” di “padrone di casa”, che vive a contatto con tante persone provenienti da tutto il mondo, con le loro culture, le loro abitudini, la loro diversità. E io mi diverto a cogliere ogni aspetto della gente a cui devo regalare esperienze ed emozioni, non soltanto una semplice vacanza.
La verità è che – nel bene o nel male – non ho mai saputo distinguere la vita lavorativa da quella di famiglia: i miei familiari erano anche i miei colleghi di lavoro o i miei capi, così come anche alcuni dei miei amici, senza distinzione di ruoli.
Quando però si lavora con la propria famiglia ci si concentra sempre e solo sul lavoro, sulle cose da fare nell’immediato. Non si pianifica quasi mai, non si programma il domani.
Fino a quando poi la vita quel “domani” te lo sbatte in faccia”.