World Economic Forum: Italia in coda alla Top Ten sulla competitività turistica

È stata pubblicata l’edizione 2019 del rapporto biennale del World Economic Forum sulla competitività turistica.

Senza alcuna variazione rispetto alle precedenti due pubblicazioni, come anticipato, l’Italia si piazza all’ottavo posto sui 140 Paesi presi in esame.

Una top ten non è sicuramente un risultato da buttare e soprattutto può fornire spunti di riflessione.

Il risultato finale dell’analisi scaturisce da una serie di indicatori e di parziali che hanno l’obiettivo di allargare il punto di osservazione quanto più possibile.

Il nostro Paese, ad esempio, può vantare un risultato eccezionale nella categoria ”beni culturali” in cui siamo quarti e per il settimo posto delle nostre ”risorse naturali”.

A buttarci giù, invece, è il piazzamenti per la qualità del ”clima imprenditoriale”.

Da un’estratto del documento ufficiale del WEF: ”Italy (8th) has the subregion’s (NdR – l’Europa meridionale) largest T&T economy, benefiting from world- class natural (7th) and cultural (4th) resources, but is being held back by a relatively unfavourable business environment (110th)”.

Il che equivale a dire che siamo fortunati ad avere ciò che la storia ci ha lasciato e la natura ci ha donato ma molto meno bravi nell’impostare e gestire il sistema.

L’altro tasto estremamente dolente è rappresentato dai nostri prezzi.

Siamo troppo cari e ci piazziamo al 129° posto.

Come se sullo specifico argomento ci fosse bisogno di attendere rapporti ufficiali, a questo punto sarebbe molto facile lasciar cadere il discorso su quanto meglio potremmo fare a livello di politiche commerciali e tariffarie.

Vale, tuttavia, la pena andare a fondo.

Nel rapporto WEF sono ovviamente descritti tutti gli elementi analizzati.

Nel dettaglio: ”Price Competitiveness (4 indicators): Lower costs related to travel in a country increase its attractiveness for many travellers as well as for investing in the T&T sector.

Among the aspects of price competitiveness taken into account in this pillar are airfare ticket taxes and airport charges, which can make flight tickets much more expensive; the relative cost of hotel accommodation; the cost of living, proxied by purchasing power parity; and fuel price costs, which directly influence the cost of travel”.

Quindi a comporre l’indicatore, oltre alle tariffe delle strutture ricettive, concorrono anche il settore dei trasporti aerei, il costo della vita e quello della benzina.

A leggere la classifica del parziale sui prezzi, i primi tre posti sono stati assegnati a Iran, Brunei ed Egitto; andando all’altra estremità, il Regno Unito – sesto in assoluto –  è ultimo.

E, ancora, fra la posizione 101 e la 140 troviamo praticamente tutti i più importanti Paesi europei:  anche Spagna, Francia e Germania – rispettivamente prima, seconda e terza della classifica globale.

Da questa lettura sembrerebbe che le mete più richieste, quelle più attraenti e – soprattutto – quelle più visitate siano anche le più care.

Ma chi è che stabilisce se una tariffa è troppo alta?

Così, di getto, verrebbe in mente debba essere sempre il cliente.

Se è vero, poi, che sono messi come e peggio di noi Paesi che spesso prendiamo a riferimento come esempi virtuosi  e che scoppiano di turismo, allora non c’è poi tanto da preoccuparsi della classifica del WEF.

Dovremmo, invece, sforzarci di spostare la questione su un piano Revenue.

Se lo facessimo, ci ricorderemmo che il Ricavo Medio Camera è un indice da analizzare sempre e solo in coppia con l’Occupazione.

L’uno senza l’altra dicono poco e rischiano addirittura di fuorviarci. In tal senso, molto peggio sono notizie come questa:

“Estate 2019 col segno meno per il turismo. Mancano oltre 2 milioni di presenze. Frenano mare, laghi e terme”

Forse è ancora presto e per trarre conclusioni sui risultati dell’estate sono necessari ancora una quindicina di giorni ma un dato di fatto c’è: il prezzo è troppo alto se non vende.

Se diminuiscono le presenze, forse il sospetto che l’Italia sia troppo cara può avere un fondamento.

Del resto,uno degli assiomi del Revenue Management è che difficilmente si possano definire le tariffe troppo alte o troppo basse.

Nel Revenue Management ci sono prezzi vendenti e altri che non materializzano.

E c’è poco da star sereni perché sarà sempre più difficile.

Se gli alberghi hanno possibilità di analisi sempre più ampie e sistemi di definizione del prezzo sempre più sofisticati, dall’altro lato del mercato non stanno certo a guardare.

Ammesso (ma non concesso) che di battaglia si tratti, chi la vincerà?

 

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